L'ABATE GIUSEPPE CADORIN

un biografo di Tiziano Vecellio

Tratto dal libro "L'abate Giuseppe Cadorin" pubblicato nel mese di settembre 1931

di Agostino dalla Verde

... Lorenzago aprica tra i campi declivi
che dall'alto la valle in mezzo domina. Giosuè Carducci

Lorenzago è l'estremo paese del Cadore verso la Carnia, posto sopra un lembo del Mauria e vaghis­simo a vedersi dal basso, circondato com'è da verdi mazzi di pini e d'abeti. Vi si giunge, dal fondo valle, percorrendo una strada ombreggiata, che sale ser­peggiando su per la costa : arrivati in alto, si offre alla vista un panorama magnifico, che compensa della fati­cosa ascesa. Da un lato, attraversando lunghe, verdi di­stese di campi e di prati, l'occhio si spinge fino a Pieve

... che allegra siede tra' colli arridenti e del Piave ode in basso lo strepito,

Pieve, la piccola capitale del piccolo, ma forte Cadore. Dall'altro lato sovrasta, imminente, la massa enorme del monte Cridola, fino a mezza costa lieto di pingui pa­scoli, per il resto brullo, sassoso, quasi minaccioso, le molteplici cime costantemente circondate di nuvole. La vallata, che si stende al basso, è aperta, pittoresca, come una larga conca fra due catene di altissimi monti: le falde di quelli opposti a Lorenzago sono disseminate di allegri paeselli. In fondo, il Piave, ancora torrente e non grosso, imperversa sugli enormi massi precipitati dall'alto, per un lungo succedersi di secoli corrosi dalle sue onde e coperti dalla sua bianca schiuma. Dopo il terribile incendio del 1855, che tutta la distrusse, Lorenzago, modernamente riedificata, presenta l'aspetto d'una allegra cittadina alpestre (Venezia alta, la chiamano i Cadorini) con le sue belle costruzioni in pietra, con le sue strade larghe, con le sue fontane. Ma un secolo fa doveva presentarsi sotto un aspetto totalmente diverso, simile a quello degli altri paesi di montagna, però più pittoresco di quanto non lo sia ora e forse più atto a ispirare, nell'animo dei suoi abitatori, l'amore per il bello, per il sublime, per l'orrido, di cui la natura ha dato colà esempi tanto maestosi. Lorenzago conta fra le sue glorie molti uomini di merito e di fama come Filippo Mainardi, Pietro Paolo Tremonti, Lucio Piazza, e sopratutti l'abate Giuseppe Cadorin. Egli nacque il 13 novembre 1792 da Giovanni Battista e da Brigida De Michiel Da Ponte. Compì i primi studi sotto la guida del parroco del paese, uomo dotto e fornito, verso i suoi giovani allievi, « di pazienza e di amorevolezza ». Andò poi al seminario di Udine, che aveva fama di essere uno dei migliori del Veneto e dove insegnavano professori valentissimi. Colà egli rimase, completando i suoi studi per il sacerdozio, fino al 1816, nel quale anno, e precisamente il 21 novembre, celebrò in Venezia la sua prima messa. Stabilitosi con il fratello Apollonio nella città di San Marco, diede presto luminose prove del suo notevole valore e si fece notare per la estensione della sua dottrina, per l'ingegno spiccato e per la volontà ferrea, che lo spingeva ad occuparsi di studi sempre nuovi. In breve volger di tempo, dunque, potè esser nominato Professore di belle lettere nel Seminario di Venezia. Più tardi, quando, anche fuori della stretta cerchia di dotti, si estese la fama del Cadorin, il governo austriaco, — che, per farsi perdonare il pesante giogo, si arrabattava con abilità, se pur non sempre fruttuosamente, allo scopo di cattivarsi gli ingegni più eletti e gli uomini più eminenti delle provincie soggette, — lo nominava Imperiale Regio Ispettore Scolastico Urbano di Venezia. A questo titolo, che corrisponderebbe all'odierno di Provveditore agli Studi, il governo seppe, accortamente, far seguire una lunga serie di onorificenze e di protezioni. Ad esempio, nei suoi studi e nelle ricerche, l'abate non trovò mai quegli inciampi, che molti altri tanto spesso lamentavano ; egli stesso a tal proposito ebbe a dire : ce .. .mi fu sempre propizio il Governo, aprendomi la via ne' regi archivi, dove ebbi assistenza e consiglio dal cortesissimo Direttore ed impiegati gentili, che cooperarono zelantemente alla soddisfazione delle mie brame ». Fu egli socio e fra i più ragguardevoli, degli Atenei di Venezia, Treviso e Bassano, dell'Accademia della Concordia di Rovigo e di altri molti istituti. Nella Venezia letteraria del tempo molte furono le amicizie contratte dal Cadorin; ci limiteremo a ricordare Leopoldo Cicognara, Taddeo Jacobi, Giuseppe Ciani (l'Erodoto della Storia Cadorina ») Giovanni Meneguzzi e sopratutto Emanuele Vittorio Cicogna che, nelle sue opere, ebbe spesso a citare l'amico abate. Il quale fu anche predicatore di rinomanza e tenne molte orazioni nella Basilica di San Marco, come diremo più avanti. Non si hanno a ricordare avvenimenti di notevole importanza nella vita del Cadorin, ove se ne tolgano alcune polemiche storico-artistiche, nelle quali egli metteva tutta la foga della sua anima di appassionato studioso. Le fortunose vicende del 1848 trovarono in lui un testimonio più che un attore; testimonio però favorevole alla causa italiana, come è attestato dalla ospitalità offerta — nella sua villa di San Fior presso Conegliano — a Pier Fortunato Calvi, che vi rimase ricoverato qualche giorno, dopo la rioccupazione del Cadore da parte degli Austriaci. E come è provato dalla protezione sempre accordata al nipote Giovanni Battista Cadorin, il compagno del Calvi ed il capo della difesa del « Passo della Morte » verso la Carnia, guardato per giorni e giorni con trenta uomini e dieci fucili. Passò anche il 1848 con i suoi entusiasmi e con i suoi sconforti, venne il 1849. Il nostro abate, tormentato dai primi assalti della podagra, vide passare l'assedio con i suoi orrori, con la pestilenza, con la fame; vide sostituirsi, sul palazzo ducale, al rinato leone la bicipite aquila austriaca; vide gli sdegni dei patrioti prorompere, svanire; vide il Manin e il Tommaseo, che egli annoverava fra i suoi amici, cac­ciati di patria, costretti a esulare in estranee contrade. Si ritrasse pertanto nella sua Villa in San Fior, dove aveva dimorato il Calvi e quivi passò i suoi due ultimi anni, occupato nel coordinare i documenti raccolti per condurre a termine la vasta opera su Tiziano Vecellio.

Sentiva la vita sfuggirgli e voleva, prima di spegnersi, dare alla luce il lavoro, per il quale tanto aveva faticato. Invano: la morte lo colse il 13 dicembre 1851 nella ancor giovane età di 59 anni. La sua effige venne conservata in una splendida miniatura di Giovanni Da Rif : in essa si ammira il volto schietto ed aperto, l'occhio vivace, la fronte spaziosa, l'aspetto sereno, come di chi ha l'animo in pace. Fu il Cadorin indulgente per le debolezze umane, ma non potè tollerare i fumi della vanità e le ridicole convenzioni sociali; molto caritatevole e benevolo coi poveri, era da essi amato come un padre. Amò di grande amore il suo paese nativo, il montuoso Cadore e di pari affetto ne onorò le glorie. Non meno amò Venezia, la seconda sua patria; e fu dai Veneziani parimenti amato ed onorato. Ai funerali partecipò una vera folla; le sue ossa vennero il 15 aprile 1882 trasportate nella Cappella di famiglia. Entrando in quel rotondo tempietto, lo sguardo subito si volge ad una semplice iscrizione, sulla parete, rimpetto alla porta :

IOSEPHI SACERDOTIS CADORIN
OSSA
SI CUPIS INGENIUM NOSCERE, SCRIPTA LEGE
OBIIT SANCTO FLORE
IDIBUS DECEMBRIS MDCCCLI