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L'OPERA TRAFUGATA

IL SAN MARTINO

DI PELOS DI CADORE

di Matteo Da Deppo

Articolo tratto dal mensile Il Cadore pubblicato nel mese di Febbraio 2013

Opera dello scultore friulano Domenico da Tolmezzo, di fine Quattrocento, era collocata nella chiesa di S. Bernardino

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Il San Martino trafugato

Pochi giorni dopo il disastro di Longarone, il parroco di Pelos dando la benedizione ai fedeli raccolti per le preghiere della sera nella chiesa di San Bernardino si accorgeva che un gruppo scolpito in legno, posto all’interno dell’edificio sacro, sopra la porta maggiore, era scomparso. Messa in allarme la popolazione e avvertite le autorità, si corse inutilmente alla ricerca di una automobile rossa che si era vista tra la canonica e la chiesa verso le ore 16 di quel giorno. Fino ad oggi le indagini non hanno condotto a nessun risultato.

(articolo del dic. 1963 pubblicato su “Il Cadore”)
Con queste lapidarie parole, lo storico cadorino Giovanni Fabbiani, denunciava alla popolazione locale la sparizione di una delle più importanti opere lignee del territorio, testimonianza dell’attività dello scultore Domenico da Tolmezzo, maggiore intagliatore friulano di fine Quattrocento oltre che abile architetto e cartografo dell’epoca. L’opera di notevoli dimensioni, raffigurante San Martino a cavallo nell’atto di tagliare il manto per donarlo al povero, in origine era parte integrante della decorazione absidale della chiesa parrocchiale di San Martino di Vigo, prima di essere trasferita a Pelos a fine Ottocento, per sostituirla con le grandi opere pittoriche dell’artista locale Tommaso Da Rin, ancor oggi visibili nell’edificio sacro. Il gruppo scultoreo, di cui esiste una seconda versione in collezione privata e una terza conservata nella chiesa di San Martino di Ovaro, rappresentava una rara e preziosa testimonianza dell’attività artistica friulana in Cadore nel Quattrocento, contraddistinta da imponenti statue isolate, dalla possente volumetria della quale colpisce la rigidità psicologica dei volti, dove rotondi e imperturbabili occhi danno l’impressione di perdersi nell’infinito, contrastando con la delicatezza della definizione delle vesti. L’opera di Pelos, come afferma il critico d’arte Giuseppe Bergamini, “era un gruppo scultoreo splendido per vigoria plastica e per il perfetto equilibrio tra i corpi”, in grado di mostrare la capacità di Domenico di dominare la materia e lo spazio, trasformando l’azione del santo in efficace scenografia simbolica.

Con le presenti note sembrava necessario riportare alla luce questo tragico evento per rinnovarne la memoria e chissà, magari, rinnovando la speranza di un possibile futuro ritrovamento che potrebbe restituire alla popolazione di Pelos, e a tutta la comunità del Cadore, uno splendido frammento della propria storia. Inoltre sembra necessario, per evitare altre gravi perdite, sensibilizzare la popolazione alla conoscenza della propria storia e del proprio patrimonio, fattore primario per la valorizzazione e la conservazione dell’identità di una comunità.

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