STORIA CADORINA

Il fallimento dellʼaudace progetto di Zuan de Ghedina 500 anni fa significò per Venezia la definitiva rinuncia allʼAmpezzano

QUEL COLPO DI MANO POTEVA RIDARE BOTESTAGNO ALLA SERENISSIMA

di Walter Musizza e Giovanni De Donà

Articolo tratto dal mensile Il Cadore pubblicato nel mese di giugno 2012

Quando a Venezia giunse la notizia che il presidio del castello di Botestagno si era arreso il 18 ottobre 1511 di fronte all’attacco delle truppe imperiali la costernazione fu generale. E quanto amara fu quella perdita resta dimostrato anche dal tentativo di spiegare la sconfitta con il comodo ricorso al tradimento: sarebbe stato Nicolò Bolani, capitano del castello, ad accettare di andarsene in cambio della vita e di 3000 fiorini. In verità non era andata così e il Bolani fu galantuomo fino in fondo: si presentò spontaneamente a Venezia ed uscì assolto dal processo intentatogli nel 1515, con 19 voti favorevoli e 4 contrari. La spiegazione più logica, accettata anche da Giuseppe Richebuono nella sua “Storia d’Ampezzo”, era che la superiorità numerica ed ossidionale messa in campo da Massimiliano era tale da rendere impossibile ogni forma di resistenza, anche per le condizioni pessime in cui versava il fortilizio. Ogni eroismo ad oltranza, con conseguente inevitabile carneficina, sarebbe servito solo a ritardare di poco l’inevitabile caduta e in questo il comportamento del Bolani non fu in definitiva molto diverso da quello palesato in quei mesi dalla stessa popolazione ampezzana: meglio accettare la realtà dei fatti e aspettare magari occasioni più propizie per un’eventuale rivincita. E lo stesso storico esprime la convinzione che i cortinesi non avrebbero mai fatto atto di sottomissione a Massimiliano se quel baluardo fosse rimasto in mano veneziana:

… restarono fedeli a Venezia fino al limite del possibile. Se Ampezzo passò all’Austria non fu certo per libera scelta degli abitanti, ma per la ineluttabile situazione militare, quando il suo destino era ormai segnato in conseguenza delle convenzioni internazionali.

Anzi, va detto che parecchi abitanti sarebbero stati intenzionati ad aiutare le truppe venete a rientrare di sorpresa nel castello, a condizione naturalmente che queste truppe ci fossero. Abbiamo in proposito la testimonianza scritta di Martin Sanudo (Diarii, tomo XIII), che, con tono d’ammirazione nei confronti degli Ampezzani “popolo et contado”, alla data del 30 ottobre 1511 scrive:

… se save che alcuni d’Ampezo tramavano dar dito castello a la signoria (Venezia), videlicet fenzer di fuzer e intrar dentro e come erano zonti li nostri vicini, rendersi… e con aiuto de le ville tajarli a pezi.

Perfino Massimiliano paventava siffatta ipotesi e il 25 di ottobre, da Dobbiaco, ordinava alle sue truppe di sgombrare Cortina e di ritirarsi al di qua della posizione del castello. L’esercito veneziano però non si fece vedere e Botestagno rimase all’imperatore. Ma non è finita qui, perché alcuni mesi più tardi proprio un cortinese, Zuan de Ghedina, oste di Ospitale, fece la proposta al Consiglio dei Dieci a Venezia, per il tramite di Barnaba Barnabò, di riconquistare Botestagno per mezzo di uno stratagemma da lui preparato, progetto che venne approvato all’unanimità in Palazzo Ducale il 10 gennaio 1512.

Evidentemente l’oste, che voleva farsi perdonare di aver trattato la resa assieme a Zorzi da Zara, era convinto di poter aver accesso facilmente al castello in virtù del suo ruolo precedente e delle sue stesse conoscenze, e forse contava pure sulle pessime condizioni della struttura, inficiata da generale fatiscenza e preoccupanti brecce. Tanta audacia invero non sortì esito alcuno, ma l’episodio dimostra che gli ampezzani, lontani come s’è detto dall’idea di sottomettersi spontaneamente, finirono col farlo in ragione sia della forza dell’occupante, sia dell’insipienza della Serenissima.

Si giunse così alla tregua del 6 aprile 1512 tra l’Impero e Venezia, in seguito alla quale si decise di accettare lo status quo, con ognuna delle due parti a tenersi ciò che in quel momento stava effettivamente occupando. E tale clausola, poi riconfermata dai trattati di Bruxelles del 1516 e di Worms del 1521, segna il vero discriminante tra la signoria di Venezia e quella “di Sua Maestà Cesarea” in Ampezzo, cosicché proprio quest’anno ricorre il 500° di una svolta molto discussa, senz’altro sofferta e comunque dolorosa, sia per gli ampezzani che per i loro vicini cadorini. Non conosciamo la data esatta in cui sette notabili cortinesi si recarono a S. Candido a presentare formale atto di sottomissione nelle mani del maresciallo Leonardo Rauber, ma certo ciò avvenne solo nei giorni o nelle settimane successive, dopo ponderata analisi di una situazione ormai stabilizzata e decantata. Per completezza bisognerebbe aggiungere però che un ulteriore tentativo di assediare Botestagno forse avvenne nel 1513, quando truppe veneziane avrebbero rioccupato momentaneamente anche Cortina.

Ma al di là di avvenimenti non suffragati da fonti sicure e indipendentemente da anniversari più o meno rotondi, l’intricata storia di quei primi anni del ‘500 dimostra come fosse davvero esagerata l’accusa mossa dall’Abate Ciani agli ampezzani (“vile diserzione, iniquità, infamia”). Troppo facile dirlo 300 e più anni dopo quel fatidico sabato 18 ottobre 1511, giorno di S. Luca, allorché sulle mura del castello s’aprivano paurose brecce per i colpi ben assestati di circa 20 cannoni, alcuni dei quali di grosso calibro.

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